Cristo fra i muratori: il capolavoro proletario di Pietro Di Donato
Pietro Di Donato nasce nel 1911 nel New Jersey da genitori italiani, emigrati nel Nuovo Mondo alla ricerca di fortuna. Pur possedendo poca formazione scolastica, acquisita principalmente come autodidatta, nel 1939 pubblica Cristo fra i muratori, ispirato alla tragica morte del padre, avvenuta il Venerdì Santo del 1923, quando crolla il ponteggio del cantiere edile presso il quale lavora, immobilizzandolo sotto una colata di cemento.
Quel tragico evento, oltre a gettare nello sconforto la famiglia, cambia per sempre la vita di Pietro Di Donato che, ancora giovanissimo, si ritrova a lavorare come muratore per mantenere la sua famiglia e per onorare la memoria di suo padre. Allo stesso tempo, inizia a combattere una vera e propria battaglia per difendere i diritti dei lavoratori soprattutto in materia di sicurezza nei cantieri.
Cristo fra i muratori ha sicuramente una forte componente autobiografica, che lo portò ad essere immediatamente accolto positivamente dalla critica e dai lettori, soprattutto perché fu considerato il primo romanzo proletario scritto proprio da un proletario stesso e perché racconta in maniera cruda, onesta e sincera il mondo degli emigrati, le condizioni dei lavoratori italiani sui cantieri, lo sfruttamento da parte dei boss americani e l’assoluto egoismo dell’America capitalista nei confronti di una minoranza che ha contribuito a costruire materialmente la nazione.
Il libro racconta infatti del giovane Paolino, che subito dopo la morte del padre, si ritrova a chiedere aiuto per sfamare la sua famiglia, ricevendo puntualmente solo porte sbattute in faccia, compresa quella della Chiesa e con una richiesta d’indennità negata, dal momento che i padroni evitano in tutti i modi di prendersi la responsabilità dell’incidente. Nell’equazione alla base del libro di Pietro Di Donato, un padre sepolto equivale quindi ad un figlio che deve farsi necessariamente carico della famiglia.
E così, il giovane Paolino, si ritrova a gironzolare fra i cantieri, nella speranza che i vecchi amici di suo padre possano dargli una mano nel trovare un lavoro. Le corporazioni però puntualmente lo rifiutano perché è troppo giovane, non ha esperienza e soprattutto potrebbe creare casini in caso di controlli sui cantieri ma Paolino si dimostra subito testardo, ostinato e desideroso di imparare in fretta perché significherebbe così guadagnare più soldi.
All’inizio, per Paolino è davvero dura sopravvivere, gli altri manovali sul cantiere si prendono gioco di lui, il lavoro è davvero sfiancante e in più mangia sempre troppo poco eppure la fatica fisica lo esalta e lo spinge a dare sempre il massimo, guadagnandosi lentamente il rispetto di tutti e gli apprezzamenti dei boss e spingendolo a diventare in fretta un uomo fatto e finito.
E la terra per Paolino divenne polvere, e le profondità della sepoltura gli gelarono il cuore. Era lui a continuare l’esistenza di suo padre tra i vivi, e ogni zolla di terriccio posata sulla cassa del genitore, la sentiva pesare su di sé, soffocandolo, schiacciandogli l’anima.
pp.51
Pietro Di Donato è molto abile a descrivere la vita sul cantiere di questi uomini, che sembrano vere e proprie macchine da lavoro, prive di parola, che compiono gesti sempre identici e che ridiventano uomini solo alla fine del turno di lavoro, quando possono tornare nelle loro case, dalle loro famiglie, dalle mogli, dai figli e soprattutto al tanto agognato e meritato riposo.
Le pagine di Cristo fra i muratori sono impregnate del sudore che sgorga dal lavoro fisico e dalla fatica e soprattutto restituiscono al lettore l’odore della calce, del cemento, della malta e dei mattoni che vengono spaccati e piazzati sotto il sole, il freddo o la pioggia e ogni gesto compiuto sul cantiere, somiglia ad un vero e proprio concerto, privo si spartito ma caratterizzato dall’armonico delirio del costruire che sembra sfociare in una sorta di danza sinistra.
Cazzuola risuona contro mattone e rovescia calce, chiodi mitragliati da martelli stridono rabbiosi. Uno, Pasquale Primo, due, Pasquale Secondo, tre, Quaresima, quattro, Proboscide, spranghe d’acciaio si ribellano morse motori tossiscono paonazzi, quindici, Pietro Culosecco, perforatrice fa cantare macigno trapano ronza e geme nel legno pietra liquefatta corre con rombo sordo tra vene di ferro ed elevatore urla attraverso lo spazio, ventiquattro, Rosario il Grassone, venticinque, Giacomo Sangini… Le mille voci della civiltà si levano dal mondo intorno e si fondono con l’attività del cantiere.
pp.25
Il sangue e le pietre sembrano essere infatti gli ingredienti principali capaci di costruire il pezzo di America che Pietro Di Donato fotografa lucidamente nel suo romanzo. Quella stessa America verso la quale erano fuggiti dall’Italia, pieni di sogni e di speranze e che invece li ha stivati in case popolari come api dentro un alveare, imponendo loro numerosi limiti linguistici e che finisce per trattarli e ridurli male, sfumando così la grandezza di quel Sogno Americano tanto agognato .
E il job si trasformava in un organismo in espansione, rumoroso, ruggente, pulsante, smanioso di crescere.
pp.200
Gli uomini e le donne fotografati da Pietro Di Donato nel suo Cristo fra i muratori sono infatti poveri cristi, orgogliosi delle loro origini macostretti a pregare il dio dei poveri, che lottano contro la fame e la miseria – considerati dei veri e propri nemici ereditati -, che ricordano con nostalgia l’Italia, che hanno un forte senso comunitario al punto da condividere ogni cosa e che ballano la tarantella come se fosse un vero e proprio rimedio per esorcizzare i propri mali.
Pietro Di Donato in Cristo fra i muratori – oltre a raccontarci uno spaccato di vita degli italiani emigrati in America – ci regala un romanzo di formazione e di iniziazione morale crudo e doloroso, contraddistinto da una scrittura poetica e molto evocativa e da un’amarezza silenziosa e profonda, la stessa che ci ricorda come in quegli anni rifiutare il Sogno Americano equivaleva tanto a rinnegare Dio.
Cristo fra i muratori, Pietro Di Donato, Textus Edizioni, 2011 pp.326. Traduzione Sara Camplese.