L’ amore a vent’anni: Giorgio Biferali e il suo spaccato molto anni Novanta
Il bello di avere vent’anni consiste principalmente nel non doversi preoccupare troppo del futuro e delle sue conseguenze ma soprattutto nel vivere qualsiasi cosa in maniera totalmente amplificata, quasi come se dietro ogni esperienza ed ogni emozione risiedesse una vera e propria cassa di risonanza. A vent’anni, ogni cotta assume le sembianze del grande amore e ogni delusione equivale invece al baratro più assoluto, quello dal quale sembra impossibile riemergere.
Questo è quello che ho pensato subito dopo aver girato l’ultima pagina de L’amore a vent’anni, il primo romanzo di Giorgio Biferali da poco pubblicato da Tunué e che finalmente è riuscito a piacermi dalla prima all’ultima pagina, nonostante un piccolissimo accenno di disappunto che mi sento di fare al finale.
Dunque, quella narrata ne L’amore a vent’anni è la storia di Giulio e Silvia, due ragazzi romani che pur abitando nella stessa identica via, non si sono mai incrociati prima ma che finiscono per incontrarsi proprio in facoltà, dando vita ad una qualcosa che non è propriamente amore ma che però va oltre una semplice amicizia.
… la mia nuova vita arriverà con il giorno e sarà tutto diverso, nuovo, come fosse il mio primo giorno nel mondo, e io ho paura perché sono solo, non ho idea di quello che mi aspetta.
Il rapporto tra Giulio e Silvia, i protagonisti di questo primo romanzo di Giorgio Biferali, è piuttosto tormentato e non trova pace perché è fatto della stessa materia di cui sono fatti i vent’anni: esplosione, vulnerablità e una vagonata di interrogativi.
Giulio e Silvia provengono da due ambienti totalmente diversi, da due famiglie diametralmente opposte ma soprattutto hanno alle spalle due background dissimili e proprio per questo motivo, la loro storia viene sviscerata in modo istintivo e naturale, a tal punto da causare qualche brivido di troppo a tutti quei lettori nati o cresciuti negli anni Novanta poiché i riferimenti contenuti ne L’amore a vent’anni a quel determinato periodo sono davvero innumerevoli e ancora vivissimi in molti di noi.
Così come sono numerosi i riferimenti letterari, musicali o cinematorgrafici – soprattutto indie – all’interno de L’amore a vent’anni, a tal punto da renderlo una sorta di romanzo transgenerazionale, scritto con grande maturità e con un’ottima padronanza di linguaggio, capace inoltre di regalare delle immagini davvero poetiche e d’altri tempi della città di Roma.
… forse non ha senso, che uno ci metta tutta una vita per capire chi è, per farsi degli amici, delle abitudini, per imparare a seguire i ritmi del suo cuore, per capire dove sia, come si muove, come sta, quant’è grande, per costruirsi dei ricordi che lo facciano star su, e poi bastano due minuti e cinquantaquattro secondo, 2’54”, per cancellare tutto…
L’unico piccolo difettuccio che mi sento di contraddire ad un buon romanzo come L’amore a vent’anni è rappresentato dal colpo di scena finale, che mi è apparso un tantino forzato e artefatto ma forse Giogio Biferali ha voluto appositamente rendere il tutto ancora più torbido, tragico e apparentemente inspiegabile: così come sono i vent’anni e così com’è la vita stessa.
E forse il bello di alcune storie – soprattutto italiane – consiste proprio nell’essere perennemente vissute come sopra un’altalena sospinta da una strana forza distruttiva, fortunatamente con il passare degli anni si cresce, si cambia pelle e si impara ad accettare se stessi e la propria natura.
L’amore a vent’anni, Giorgio Biferali, Tunué, 2018 pp. 188.