American Dust: una parabola americana secondo Richard Brautigan
La Seconda Guerra Mondiale è terminata da poco, lasciandosi dietro un terribile puzzo di morte e miseria, ognuno cerca il proprio posto nel mondo … prima che il vento si porti via tutto e American Dust è forse l’opera più azzeccata per descrivere tutto quel malessere generale.
Richard Brautigan in questo suo romanzo pubblicato nel 1982 ma solo da poco riscoperto, ricorre ad una storia ambientata nella periferia americana, apparentemente semplice e sconclusionata ma quasi certamente autobiografica, per descrivere quella strana sensazione di alienazione interiore che lascia completamente disorientati.
American Dust è infatti un urlo che Richard Brautigan lancia sia per descrivere il proprio malessere interiore che l’ha poi spinto al suicidio, sia quello di un’ intera generazione che devastata dalla guerra ha definitivamente smesso di cercare, lasciandosi poi andare definitivamente.
David arrivò in bici alla stazione di servizio. Aveva il suo calibro .22 sul manubrio. Ripeto: non era affatto insolito in quei giorni, subito dopo la fine della guerra, vedere i ragazzini andarsene tranquillamente in giro con il fucile.
– La vuoi una bibita? – gli chiese il vecchio sbucando fuori dal suo ufficio.
– No, mi sa che aspetto l’estate – disse David.
– Va bene – disse il vecchio. – Fai come vuoi.
Poi tornò nel suo ufficio ad aspettare l’estate.
La storia narrata da Richard Brautigan in American Dust è apparentemente banale e nonostante i numerosi elementi cupi che la contraddistinguono ossia l’ossessione per la morte, la povertà e la sconfitta, una volta passata quella strana sensazione iniziale di amaro in bocca, dimostra una bellezza e una dolcezza infinita da suscitare un’immediata compassione per il protagonista: un dodicenne sveglio e molto curioso, che trascorre le sue giornate ad osservare una strana coppia che ogni sera sulle sponde del lago allestisce un vero e proprio salotto a cielo aperto semplicemente per pescare, tutto questo fin quando un incidente cambierà per sempre il corso della sua anonima e silenziosa esistenza.
Sembrava quasi una favola a lieto fine nel quadro gotico dell’America del dopoguerra, prima che la televisione azzoppasse l’immaginazione collettiva e rinchiudesse la gente in casa impedendo di dare sfogo alle fantasie di ciascuno con dignità.
American Dust, considerato il libro più autobiografico dell’autore, è una storia molto dura che colpisce peggio di un pugno in pieno volto e che dimostra come quella di Richard Brautigan sia stata una vita eternamente in bilico e sempre ad un passo dal baratro, dettata prima da un successo fulminante, poi da un inaspettato declino seguito da un lungo periodo di alcolismo e depressione e terminata infine con il suicidio, a soli quarantaquattro anni.
American Dust è tutto questo e molto altro ma è certamente un’opera che bisogna leggere e comprendere fino in fondo, poiché oltre quella strana sensazione di effimera e asfissiante bellezza, c’è un finale bellissimo che punta il dito contro gli stereotipi e contro l’omologazione dell’individuo, denunciando la mancanza d’ immaginazione nell’uomo e anticipando in qualche modo il fenomeno tipicamente americano delle “armi facili”, soprattutto da parte dei ragazzini.
American Dust, Richard Brautigan, Isbn, 2012 pp. 109. Traduzione E. Monti.