A ovest di Roma di John Fante: come può un cane distruggere un sogno?
La bellezza e la grandezza delle storie narrate da John Fante risiede principalmente nel fatto di riuscire a trovare, in una sua singola storia, una moltitudine di sentimenti molto spesso contrastanti fra loro ma pur sempre irresistibili e ben congegnati, capaci di regalare al lettore un mix eccezionale e inspiegabile, fra il poetico e il malinconico.
A ovest di Roma, libro pubblicato postumo nel 1986, è un’opera composta da un romanzo breve intitiolato Il mio cane stupido, esempio di rara bellezza narrativa sotto tutti i punti di vista e dal racconto L’orgia, che è uno scritto piuttosto inusuale e sbrigativo, considerando le classiche tematiche trattate da John Fante all’interno delle sue opere.
Il mio cane stupido, è uno scritto che brilla di luce propria e da’ vita ad una storia comica, malinconica e contemporaneamente riflessiva, poiché qui dentro, l’umorismo combacia alla perfezione con l’inquietudine umana e il finale, n’è certamente la prova maestra.
Il protagonista de Il mio cane Stupido, è Henry Molise: uno scrittore di mezza età frustrato e in crisi d’ispirazione, immaturo e arrogante, sconfitto e stanco dei suoi continui fallimenti familiari e personali ed esasperato dagli eterni conflitti con la moglie Harriet e con i loro quattro figli, tutto questo fin quando, nel giardino della loro lussuosa e immensa dimora, non compare un enorme cane di razza akita talmente pigro, testardo e impertinente, che finisce, in pochissimo tempo, per portare il totale scompiglio nella famiglia Molise.
Ed era proprio un cane, un cane molto grande, con la pelliccia folta; era marrone e nero, con un gran testone e un naso nero, corto e tozzo, una bestia tristissima con il malinconico muso di un orso.
Infatti, dopo vari litigi, tentennamenti e ripensamenti, la famiglia Molise decide di adottare il cane e di dargli un nome che è già tutto un programma, ovvero Stupido e da quel momento in poi, il divertimento per il lettore sarà assicurato e garantito, poiché il cane, con i suoi strani atteggiamenti e comportamenti, provicherà al povero Henry Molise una serie di grattacapi e di magre figure, capaci di far infuriare i suoi vicini di casa e l’intero lussoso quartiere.
E cosi fra liti, fughe annunciate, segreti inconfessabili e bizzarre messe in scena, si snodano le vicende di questa strampalata famiglia che Henry Molise, disprezza con tutto se stesso e dalla quale non vede l’ora di fuggire al più presto, per stabilirsi definitivamente nella città di Roma e stranamente, solo Stupido, sembra riuscire a colmare quel vuoto interiore che Henry Molise custodisce nel suo animo: un vuoto fatto da impotenza, da voglia di rivalsa e di successo.
Ma era buona, la mia Harriet, aveva resistito venticinque anni accanto a me e mi aveva dato tre figli e una figlia, oguno dei quali, o tutti e quattro, avrei senza rimpianti scambiato per una nuova Porsche, o anche per una MG GT ’70.
E forse, è proprio la loro diversa natura e le enormi differenze caratteriali fra Henry Molise e il suo cane Stupido, a rendere assolutamente complementari questi due esseri, poiché il cane sembra lenire le ansie e le ferite del padrone e rappresentare tutto ciò che Henry Molise, non è mai riuscito ad essere in vita sua e tutto questo, finisce per stabilire un perfetto equilibrio fra i due e mette a repentaglio persino il segreto sogno romano di Henry Molise.
Ero stanco di sconfitte e fallimenti. Ero affamato di vittoria. Avevo cinquantacinque anni e di vittorie all’orizzonte non ce n’erano, tanto meno di battaglie. Anche ai miei nemici era passata la voglia di combattere. Stupido rappresentava la vittoria, i libri che non avevo scritto, i luoghi che non avevo visto, la Maserati che non avevo mai avuto, le donne che desideravo…
Ne L’orgia invece, John Fante, mette in scena un racconto breve segnato della dissolutezza, dall’ illusione, dal desiderio di ricchezza e dalla tentazione contrapposta all’importanza della famiglia, alla fede incrollabile della moglie del protagonista e all’ingenuità dei loro figli.
Si capisce infatti, che anche dietro L’orgia, c’è quel perenne desiderio di rivalsa che a sempre contraddistinto John Fante e tutti i suoi personaggi letterari, il tutto ovviamente accompagnato da quella sensazione di rimorso perenne e di speranza, che permette di risolvere tutti i problemi a patto che ci sia la voglia di rialzarsi in piedi, di tornare sui propri passi e di continuare quel lungo e tortuoso cammino, chiamato vita.
Personalmente, è proprio questo che amo maggiormente in John Fante: uno scrittore che nelle sue opere, non dimentica mai di mettere tutta l’onestà e tutta la sincerità, capaci di disarmare il lettore e di fare breccia nel suo cuore.
John Fante, uno scrittore che per anni ha rincorso i soldi e il successo, a tal punto da sacrificare la propria vena narrativa ma dal quale, ho comuqnue imparato che, non sono mai i soldi o le ricchezze accumulate a rendere uomini bensì è la propria morale e il peso della propria coscienza e delle azioni commesse.
A ovest di Roma, John Fante, Einaudi, 2008 pp.214. Traduzione Alessandra Osti.