J.D. Salinger e i Nove racconti davvero inafferrabili
Quando decidi di leggere una raccolta di racconti non sai mai come andrà a finire. La pluralità delle storie inserite una di seguito all’altra non ci guida verso un giudizio univoco. Nelle pagine si nascondono trame e luoghi differenti che permettono la nascita di sensazioni sempre diverse. In questo modo, se un racconto ci ha fatto letteralmente impazzire – dal piacere –, la stessa impressione non possiamo catturarla con quello successivo. Ci si mette di mezzo la cronologia, permettendo ad ogni inizio e ad ogni fine un mai identico giudizio critico. Non avviene la stessa cosa quando ci troviamo davanti a raccolte nate con un determinato obiettivo, che magari mantengono sullo sfondo una precisa tematica, ma che usufruiscono di una narrazione ben diversa tra loro.
Leggendo i Nove racconti di J.D. Salinger, raccolti e pubblicati per la prima volta negli Stati Uniti nel 1953, ho avuto impressioni mai simili, riconoscendo quanto le aspettative che si nutrono per uno scrittore possano crollare da un momento all’altro. Certo, il mio è un semplice quanto banale punto di vista, ma conferma la linea dell’imprevedibilità del risultato finale di ciò che si sta leggendo. È anche vero che se lungo il viaggio non ci si trova davanti un imprevisto, prima o poi ci si annoia.
Dissi che non avevo mai avuto un impiego, che avevo finito l’università solo da un anno ma che mi piaceva considerarmi uno scrittore di racconti di professione.
Ho molto apprezzato racconti come Lo zio Wiggily nel Connecticut, Giù al dinghy e Per Esmé: con amor e squallore. Quelli che invece mi hanno maggiormente colpito senza lasciare scampo ad un qualsiasi rimedio sono stati Un giorno ideale per i pescibanana e Bella bocca e occhi miei verdi. Il primo mi ha letteralmente tolto il fiato. Una mamma che avanza ogni tipo di ipotesi, andando oltre quelle che sono le normali precauzioni nei confronti di sua figlia, e quest’ultima pronta a controbatterla in tutti i modi pur di alleggerire il peso su suo marito Seymour – uomo dalla personalità disturbata.
– Vedi, nuotano dentro una grotta dove c’è un mucchio di banane. Sembrano dei pesci qualunque, quando vanno dentro. Ma una volta che sono entrati. Si comportano come dei maialini. Ti dico, so da fonte sicura di certi pescibanana che, dopo essersi infilati in una grotta bananifera, sono arrivati a mangiare la bellezza di settantotto banane -.
La prima parte di questo racconto si svolge per telefono, proprio come avviene l’intero svolgimento di Bella bocca e occhi miei verdi. Da entrambi i lati troviamo dei personaggi paranoici, quasi succubi di uno stato psichico molto devastato. Se la mamma non cessa di torturare sua figlia per via dei comportamenti strani di suo marito, Arthur invece entra nel pallone dopo aver smarrito sua moglie Joanie ad una festa. I due personaggi che parlano dall’altro capo del telefono sono così insistenti da farti perdere la testa per una sciocchezza. Nonostante i finali siano completamente diversi, in Un giorno ideale per i pescibanana assistiamo ad un epilogo preannunciato dalla stessa madre invadente. La paranoia che ti mangia fino all’osso vince sulla estrema calma impersonata da Muriel. L’esatto opposto avviene nel caso di Arthur, tenuto a freno dal suo amico Lee mentre il suo stato psichico crollava in seguito all’assenza di Joanie – e ad una buona dose di alcol in corpo. Le disperazioni del quotidiano, le assenze interiori dei personaggi, le ombre che caratterizzano i loro vissuti, si ripercuotono nelle storie che Salinger sceglie di narrare – e che da Holden prendono vita.
– Sono appena arrivata, mamma. Sono le prime vacanze che mi prendo in non so quanti anni, e non ho nessuna intenzione di rifare le valige proprio adesso e tornarmene a casa, – disse la ragazza. – E poi comunque non potrei mettermi in viaggio. Mi sono presa una scottatura che non posso neanche muovermi.
Non posso dire che sullo sfondo di questa raccolta ci sia la guerra, ma posso comunque affermare che un profumino leggero lo si avverte. Non tutti i racconti hanno quell’ingrediente che riporta i personaggi ad avere un conto in sospeso con alcuni conflitti passati o presenti al momento della narrazione, ma resta viva l’impronta di Salinger che abbiamo conosciuto ne Il giovane Holden. La guerra segna la sua vita per il resto dei suoi giorni, dimostrando quanto sia incisiva sopratutto nell’aspetto psichico di una persona che ne è stata testimone.
Quelli che invece mi hanno lasciato insoddisfatto durante la lettura sono stati L’Uomo Ghignante e Il periodo blu di De Daumier-Smith. A dire il vero non mi sento in vena di attaccare una determinata parte invece che un’altra. Sicuramente non sono riuscito a comprenderne il senso – o i molteplici sensi – per via di una mia sciocca indisposizione. Magari mentre li stavo leggendo non mi ero posizionato nella giusta angolazione attraverso cui cogliere quello che non sono riuscito a percepire. In casi come questi non c’è da perdersi d’animo. La rilettura conosce il momento giusto in cui fare il suo ingresso in scena.
Nove racconti, J. D. Salinger, Einaudi 2010, PP. 209, Traduzione di Carlo Fruttero.