La musa di Jonathan Galassi ovvero un flop riassunto in soli cinque punti

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La musa (La)Dopo aver letto l’interessante ed esaustiva intervista fatto da Giulio D’Antona a Jonathan Galassi (qui) – con il quale condivido buona parte dei pensieri espressi soprattutto a proposito dell’evoluzione digitale dell’editoria e della pseudo-critica letteraria moderna – avrei voluto parlarvi de La musa – il romanzo d’esordio di Jonathan Galassi pubblicato in Italia da Guanda lo scorso giugno –in tono entusiastico e positivo ed invece mi ritrovo ad avere un parere piuttosto freddo e distaccato.

Certamente Jonathan Galassi incarna letteralmente il concetto di editoria stessa poiché egli oltre ad essere uno fra i più importanti e influenti uomini di letteratura – in quanto attualmente siede sul trono Farrar Straus and Giroux, la più autorevole casa editrice americana che vanta una ormai settantennale presenza sul mercato e una sfilza di premi e riconoscimenti riscossi dalle opere pubblicate e dagli autori presenti nella propria scuderia e tradotti in ogni parte del globo terrestre, sui quali spiccano Philip Roth, Jonathan Franzen, Michael Cunningham, Jamaica Kincaid e Jeffrey Eugenides, solo per citare alcuni nomi – è un traduttore – a lui si devono le traduzioni in lingua inglese di Giacomo Leopardi e Eugenio Montale – e pure un poeta – con ben tre pubblicazioni all’attivo – e forse ecco perché da un romanzo scritto da un uomo con un curriculum del genere e con una conoscenza del mercato editoriale come quella di Jonathan Galassi mi aspettavo davvero tanto e purtroppo ammetto che sono rimasta piuttosto delusa.

Forse da La musa mi aspettavo una sorta di illuminazione o di sconcertante rivelazione sul mercato editoriale e sulle sue spesso incomprensibili dinamiche e invece tutto questo purtroppo non c’è stato o forse, è stato tutto così vago ed effimero da risultare davvero troppo superficiale e privo di spessore.

Jonathan Galassi nell’introduzione del libro, informa il lettore che La musa è principalmente una storia d’amore che racconta dei tempi in cui i libri erano ancora libri, gli autori erano ancora autori e i lettori erano ancora lettori e l’intero panorama editoriale possedeva una propria autorevolezza e una credibilità degna di attenzione e considerazione e dunque i buoni propositi per fare de La musa un libro bello e interessante c’erano tutti eppure già alla fine del secondo capitolo qualcosa inizia a vacillare e a perdere di vigore.

Quella narrata ne La musa è infatti la storia di Paul Dukach -uomo mite e di immensa cultura, innamorato dei libri, della letteratura e dei propri struggimenti amorosi – e del suo facoltoso impiego presso la Purcell & Stern, una casa editrice indipendente, squattrinata ma raffinata, fondata nel dopoguerra da Homer Stern – uomo di origine ebrea, con un ineguagliabile fiuto letterario e con una passione sfrenata verso i sigari, le donne, le auto lussuose e l’ostentazione – e apprezzata e ambita per la sua attitudine a coccolare i propri autori e a considerare le loro pubblicazioni come vere e proprie opere sacre.

…galleggiava in un mare di estasi, stordito dall’egocentrismo capriccioso dei suoi scrittori ma ricompensato dalla soddisfazione di aiutare le loro opere a vedere la luce. Sempre assalito dai dubbi – sul suo talento, sulla possibilità che qualcuno lo amasse, sulla sua capacità di essere felice -, Paul non dubitava neanche per un istante del valore di quello che faceva. Era il suo destino, e lo sapeva. Così procedeva a testa bassa, lavorando senza sosta, mentre la vita gli passava accanto.

E allo stesso tempo è la storia di un pezzo di editoria apparentemente nobile, aristocratica e rispettabile e invece minata da ipocrisie, gelosie e rivalità come qualsiasi altro settore, specie quella eterna fra la Purcell & Stern e la Impetus Editions, guidata da Sterling Wainwright:

Homer, eccentrico, imponente, esagerato era il sole immutabile intorno al quale ruotava il suo universo. Sterling era più distaccato; aveva la disinvoltura, il fascino, la modestia e l’arroganza dell’uomo privilegiato che non aveva mai incontrato ostacoli sulla sua strada.

ma soprattutto da sotterfugi e meccanismi spesso oscuri e incomprensibili per noi lettori che ci apprestiamo ad accaparrarci il prodotto finito, specie in occasione dell’annuale Fiera di Francoforte – il più importante evento fieristico europeo dedicato all’editoria -:

…nella moderna fiera di Francoforte non si vendevano libri, bensì autori, a un tanto al chilo. Gli editori si accaparravano il diritto di vendere le opere dei loro scrittori in altri paesi e altre lingue, spesso intascando una considerevole porzione di guadagni…

Molti editori, però, facevano il passo più lungo della gamba, comprando titoli stranieri che sembravano destinati al trionfo ma che spesso, quando mesi dopo arrivavano le traduzioni commissionate, li spingevano a domandarsi, scuotendo la testa, come avessero fatto a scambiare un cane per un leone…

il tutto narrato attraverso l’amore folle di Paul Dukach – e dello stesso Jonathan Galassi – verso la poesia e verso la figura della più famosa e misteriosa poetessa di tutti i tempi ovvero Ida Perkins e con in sottofondo lo spettro dell’editoria digitale e dell’influenza sia negativa che positiva (molto più negativa) della nuova critica letteraria moderna, capitanata dai blog.

La poesia per me, come credo per chiunque la prenda sul serio, parla della diversità: dell’essere ‘disadattati’, dello starsene da parte.

Al libro però manca qualcosa o forse paradossalmente Jonathan Galassi si è fatto prendere un po’ troppo la mano e ha messo dentro al libro cosi tante cose da rendere il tutto piuttosto approssimativo, fuorviante e diverso da ciò che uno si aspettava e personalmente ho riassunto il tutto in questi cinque punti:

  1. La partecipazione fin troppo costante e ossessiva di Ida Perkins e delle sue imprese letterarie e non;
  2. La presenza di troppi personaggi di cui è letteralmente impossibile ricordare nomi e vicissitudini;
  3. La scelta di Jonathan Galassi di puntare tutto su personaggi e imprese reali e fittizie, il che necessita uno sforzo da parte del lettore per capire se il personaggio o la vicenda di cui si narra sia vera o inventa tata – comprendo benissimo che il mix di realtà e finzione è il nettare vitale della narrativa, ma la miscela creata ne La musa non mi ha convinta per nulla;
  4. L’aura letteraria di cui il libro dovrebbe essere naturalmente circondato ma che invece viene letteralmente spazzata via dalle numerose divagazioni;
  5. Non esce mai fuori la vera anima di Paul Dukach e più in generale ciò che ci si aspettava di scoprire sull’editoria che in questo contesto risulta spesso artificiosa e poco interessante.

Chapeau a Jonathan Galassi, al suo fiuto editoriale e al suo impegno speso per diffondere e per tutelare la buona letteratura ma con la pubblicazione de La musa ho avuto la sensazione che si è andati forse incontro ad una scelta troppo azzardata, dettata forse dal voler compiacere un capriccio dell’autore e un suo personale desiderio di dare alle stampe un proprio manoscritto.

Probabilmente Jonathan Galassi ha preferito non esporre troppo l’editoria e i suoi mille labirinti magari per non rischiare di farle perdere quell’aura di magia di cui è segretamente depositaria ma detto questo, lasciamo pure che gli autori facciano gli autori e che gli editori facciano gli editori e si limitino a dar voce agli scrittori validi, perché è sempre e solo di questo di cui abbiamo necessariamente bisogno.

La musa, Jonathan Galassi, Guanda, 2015 pp. 247. Traduzione Silvia Pareschi.



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6 Replies to “La musa di Jonathan Galassi ovvero un flop riassunto in soli cinque punti”

  1. La stessa cosa che, leggendolo, mi sto chiedendo io: se l’autore non fosse uno dei principali editori americani, il libro sarebbe stato pubblicato? E soprattutto sarebbe stato recensito così favorevolmente ovunque? Francamente ne dubito.

    1. certo che no, anche perché dubito che negli USA l’editoria sia come in Italia – dove la qualità di certe pubblicazioni (anche di grandi editori) spesso è scadente – e soprattutto se non fosse stato Jonathan Galassi credo che il libro non sarebbe nemmeno stato preso lontanamente in considerazione e tanto meno tradotto ed esportato all’estero.
      Questa è l’ennesima prova di quello che è capace di fare un nome celebre in calce ad un libro e soprattutto quanto marketing si riesce a smuovere attorno ad esso. Detto e fatto poi da Jonathan Galassi che apparentemente sembra non apprezzare molto alcune logiche di mercato. Mah!

  2. io non sarei proprio d’accordo sui prezzi “sempre minori” del digitale..compro il 50% dei miei libri in ebook e a volte ci sono due-tre euro di differenza.
    (Non c’entra con LaMusa, lo so, ma questo Galassi mi sta alquanto antipatico, e comunque, dopo la seconda recensione negativa della giornata – tu e Holden – mi è passata la – scarsa – voglia che avevo di leggerlo).
    Ciao conterronea!

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