La Pura Vida di Gianluca Gotto: che cosa non mi ha convinta nel libro?
Ormai lo sapete che dei libri che ho letto e non mi sono piaciuti, quasi mai finisco per dedicargli un post sul feed o sul blog eppure, stavolta, voglio fare un’eccezione e scrivere qualcosa a proposito dell’ultimo libro di Gianluca Gotto intitolato La Pura Vida che abbiamo coraggiosamente letto con il mio gruppo di lettura RiConnessioni.
Ecco, in questo libro non c’è praticamente nulla che salverei perché l’ho trovato scontato, banale e retorico – esattamente come scrivono la maggior parte degli scrittori contemporanei italiani -, imbastito di cliché e di luoghi comuni ma soprattutto non ho apprezzato affatto i messaggi che lancia, a partire da quello predominante ovvero che basta partire per un viaggio lontano, in solitaria, possibilmente in Oriente o in Sud America, per svoltare magicamente la propria esistenza e per tornare persone nuove di zecca e con una voglia di vivere senza precedenti.
No, caro protagonista del libro, diciamo che non funziona esattamente così perché, probabilmente, questo metodo funziona nel mondo delle favole e del “vissero felici e contenti” perché se parti per sfuggire ai tuoi problemi, diciamo che i problemi saranno i tuoi fedeli compagni di viaggio, a cui avrai solo cambiato latitudine e longitudine.
I cambiamenti funzionano solo e se c’è un lavoro solido e intenso alla base. Potrai dire che stai cambiando solo quando starai davvero lavorando su te stesso, con tutte le tue forze e con tutte le tue energie e quando dolore, lacrime, sangue e sudore si saranno perfettamente amalgamati tra di loro e sgorgheranno da ogni singolo poro della tua pelle. Solo allora potrai dire che qualcosa, forse, sta cambiando.
Che poi lo sappiamo che la crescita personale, è un concetto assolutamente aleatorio, personale – altrimenti non si chiamerebbe tale – e asimmetrico: farai dieci passi avanti per poi farne quindici indietro e così, avanti fino all’infinito. Cadere e rialzarsi in continuazione, senza sconti.
E sì che viviamo in questa epoca così vacua, dove tutti sono guru o santoni e prendiamo per oro colato le parole che dicono e dove ogni rituale sembra essere quello giusto per liberarci, finalmente, da qualcosa o da qualcuno. Ecco, caro protagonista del libro, la curanderia, ad esempio, è una cosa seria e non un qualcosa di cui scrivere frettolosamente o peggio, da scimmiottare e da inserire così nella trama del libro, come se fosse una trovata geniale o l’ennesimo fenomeno new age particolarmente in voga. No, secondo me, non funziona esattamente così.
E poi, caro protagonista del libro, quella “marchetta” pubblicitaria a pagina 297, messa lì apparentemente a caso, l’ho trovata davvero fastidiosa e inappropriata e poi, lo confesso, il concetto di “pura vida” mi ha mortalmente annoiato perché è ripetuto praticamente ad ogni pagina, a tal punto da diventare quasi una battuta scontata ad ogni dialogo e assolutamente ridondante.
E lo so che questi sono libri di consolazione, che questa è scrittura di consolazione, che ci dice esattamente quello che vogliamo sentirci dire, nel modo in cui ci piace sentircelo dire ma io, purtroppo, sono ancora vecchia scuola e credo ancora in quei libri che sollevano interrogativi, che scavano nell’anima e che fanno sanguinare le ferite.
Dico tutto questo con il massimo rispetto per gli alberi che ti hanno permesso di essere rilegato, per il prodotto in sé e per la persona che lo ha scritto e giuro che, in questo momento, non sono assolutamente ironica.
Meno male…non sono l’unica allora! Tra l’altro mi è stato prestato da una coppia di amici entusiasti di sapere cosa ne pensassi…non so come iniziare il discorso quando dovrò riconsegnargli il libro