Tommy Orange e il suo esordio letterario indigeno con Non qui, non altrove
La voce dei nativi americani è stata per tanti anni, anzi forse troppi, ignorata e cancellata con la violenza e con la stereotipizzazione e tutto questo ha comportato un’inevitabile perdita della memoria ma soprattutto dell’eredità che, spesso, a causa della sua esclusiva trasmissione in forma orale, ne ha determinato la totale dimenticanza.
Eppure, quella dei nativi americani è una voce che non può e che non deve essere assolutamente ignorata o soffocata poiché le sue tracce e suoi echi sono ancora ben visibili e udibili nella storia attuale dell’America contemporanea poiché quella è la voce ancestrale che parla delle origini di questo popolo e che non può essere ridotta al silenzio, visto che il patrimonio è inestimabile e ricco di aneddoti e di riverberi mitologici.
Quelle dei nativi americani non sono semplicemente storie o racconti di puro intrattenimento bensì sono delle vere e proprie attività che testimoniano la sacralità del narratore e la centralità del suo narrare, sottoscrivendo tutto il potere e l’importanza della parola.
Tommy Orange e il suo libro d’esordio
Tutto ciò sembra averlo ben compreso Tommy Orange, membro della tribù Cheyennee e Arapaho dell’Oklahoma, che con il suo romanzo d’esordio Non qui, non altrove accolto positivamente dai lettori e dalla critica, sino ad essere riconosciuto come uno dei dieci migliori libri dell’anno secondo The New York Times Book Review, ci regala un libro che racconta uno spaccato di storia e di vita dei nativi americani ma soprattutto tenta la conservazione della loro identità, il recupero delle tracce di una cultura che abbraccia e che affonda le proprie origini nella storia dell’America stessa.
Non qui, non altrove racconta, infatti, le storie di dodici personaggi di origine nativo americana che si preparano, come ogni anno, ad organizzare il consueto raduno ad Oakland – chiamato powwow – e ritenuto una vera e propria festa per questa nazione ormai persa ma impossibile da dimenticare.
E così, tra il folklore e la voglia di condivisione, dai protagonisti di Non qui, non altrove fuoriesce tutto quel senso di appartenenza verso qualcosa di unico, di ben radicato e mai del tutto sopito, che spinge migliaia di nativi del Nord America ad abbandonare per qualche giorno le loro città – dove non si sono mai sentiti del tutto accolti – per raggiungere questo luogo, nel quale festeggiare tutti insieme e attraverso il quale ricercare la propria patria, ricostruire le proprie radici, proteggere la propria storia e la propria memoria.
Ogni personaggio presente in Non qui, non altrove possiede, infatti, una propria inclinazione e un proprio atteggiamento nel vivere e rivivere le proprie origini e la propria storia ma tutti sono però accomunati da una sensazione di disagio, di dolore, di dipendenza e di difficoltà, o addirittura di incapacità, di stare al mondo nonostante essi siano persone assolutamente moderne che fanno cose moderne.
In Non qui, non altrove l’autore tratteggia alcuni personaggi che rimarranno sicuramente impressi nella mente del lettore, come ad esempio: Dene Oxendene e il suo desiderio di realizzare una sorta di documentario raccogliendo le interviste fatte ai suoi simili oppure come Tony Loneman e la sua sindrome feto alcolica che lo porta ad essere decisamente fuori dagli schemi o addirittura come Edwin Black e la sua dipendenza da internet.
Insomma, personaggi decisamente fuori dal comune quelli descritti da Tommy Orange che hanno conosciuto bene il significato delle parole violenza, dolore, rabbia, sofferenza, perdita ed emarginazione e che, attraverso il powwow, si ritrovano e intrecciano le loro vite, semplicemente per vivere una giornata all’insegna del riscatto, del divertimento, della libertà ma che finisce, invece, per diventare tutt’altro.
Tommy Orange e il suo libro: considerazione breve di fine lettura
Con Tommy Orange e il suo Non qui, non altrove è la seconda volta che mi approccio alla letteratura nativo americana – dopo aver letto Sherman Alexie – e devo dire che sono rimasta piacevolmente sorpresa da questo esordio seppur non del tutto soddisfatta poiché mi aspettavo qualcosa di più e in particolar modo: una maggiore caratterizzazione dei personaggi e qualche dettaglio in più sulle loro vite e sulla loro condizione.
Probabilmente il libro avrebbe funzionato meglio se invece di essere una sorta di romanzo corale si fosse concentrato solo sulla vita di un numero ristretto di personaggi, scendendo magari più a fondo e osservando tra le spaccature.
Sicuramente quella di Tommy Orange è una penna da tenere sott’occhio per il futuro e di cui sentiremo sicuramente parlare ma soprattutto sarà interessante capire come si evolverà dopo questo romanzo d’esordio, scritto in sei lunghi anni, che ritengo discreto ma che, con qualche piccolo ritocco, sarebbe stato semplicemente perfetto.
Non qui, non altrove;Tommy Orange, Frassinelli, 2019 pp. 327. Traduzione Stefano Bortolussi.